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Disturbo da deficit di attenzione con iperattività: Metilfenidato


Sebbene ci sia un consenso nella comunità scientifica nel definire il disturbo da deficit di attenzione con iperattività ( ADHD ) nel bambino come una sindrome caratterizzata dalla triade: iperattività, impulsività e deficit di attenzione-concentrazione, ampia diversità c’è invece nel valutare la gravità dei sintomi e nel giudicare la rilevanza clinica delle loro molteplici manifestazioni.

Due sono i criteri diagnostici oggi utilizzati per inquadrare e valutare i sintomi associati all’ADHD: l’ICD-10 ( sistema diagnostico proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità ) e il DSM-IV ( proposto dall’American Medical Association ).
Il primo presenta criteri più restrittivi del secondo, e consente quindi di identificare un numero minore di bambini: quelli con ADHD di maggior gravità.
Seguendo un’impostazione fondamentalmente gerarchica l’ICD-10 tende infatti ad escludere diagnosi multiple; così, ad es, applicando il DSM-IV, un bambino potrebbe essere diagnosticato con ADHD e disturbo della condotta, mentre applicando l’ICD-10 gli verrebbe diagnosticato solo il disturbo di condotta. Ed ancora: per la diagnosi di disturbo ipercinetico, l’ICD-10 prevede la presenza sia di inattenzione che di iperattività e impulsività. Quindi bambini con ADHD con deficit prevalentemente dell’attenzione o di tipo iperattivo/impulsivo vengono considerati sub-clinici secondo l’ICD-10.

Alla scelta del sistema diagnostico da utilizzare, che è condizionata anche da attitudini scientifico-culturali ( ad es, in Europa si preferisce il primo, negli USA il secondo ), conseguono quindi differenze consistenti nell’iter complessivo diagnostico-terapeutico a cui il bambino può essere sottoposto.

Eziologia – Numerosi sono i potenziali fattori eziologici associati all’ADHD e tra questi, quelli genetici, perinatali, psicosociali, ambientali, dietetici, strutturali, cerebrali e neurobiologici. È per questi ultimi, tuttavia, che sono disponibili oggi maggiori evidenze circa un loro ruolo nel caratterizzare le manifestazioni cliniche dell’ADHD. In particolare, a livello della corteccia frontale e dei nuclei della base, le cui funzioni sono modulate da dopamina, noradrenalina e serotonina, in pazienti con ADHD sono state dimostrate anomalie strutturali e funzionali del sistema dopaminergico.
Il ruolo della dopamina supporta infatti le manifestazioni di scarsa attenzione e iperattività, come la serotonina l’impulsività, e un eccesso di noradrenalina le manifestazioni di aggressività. Esistono infatti numerose evidenze secondo cui farmaci in grado di modulare i sistemi dopaminergico e noradrenergico sono in grado di migliorare iperattività, impulsività e attenzione.
Non esiste invece alcuna evidenza di efficacia clinica sui sintomi dell’ADHD dei farmaci che bloccano il riassorbimento della serotonina ( SSRI ).

Prevalenza – Sebbene l’ADHD sia ritenuto, a livello internazionale, uno dei più frequenti problemi comportamentali dell’età evolutiva, le stime della prevalenza variano considerevolmente ( 1-24% ) a seconda del contesto geografico e sociale, dell’età e del sesso della popolazione osservata, dei criteri diagnostici utilizzati e dall’esperienza degli operatori.
Indipendentemente dall’età di insorgenza dell’ADHD, anche presunta, il bambino arriva all’osservazione dello specialista solo in età scolare: sono proprio gli insegnanti che segnalano l’anomalo comportamento dell’alunno nel contesto scolastico. A casa e nelle relazioni familiari invece le difficoltà risultano meno evidenti, anche se non scompaiono del tutto. I sintomi sono quindi facilmente influenzati dall’ambiente in cui il bambino si trova.
L’ADHD è più frequente nei maschi che nelle femmine ( rapporto 5-9/1 ).
A tutt’oggi in Italia sono stati condotti tre studi epidemiologici formali che, utilizzando un questionario sottoposto ad insegnanti di scuola elementare, hanno evidenziato una prevalenza di ADHD nella popolazione scolastica del 4%. Tuttavia, questi studi presentano numerosi limiti metodologici ( ad es. sono esclusivi delle regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna; sono distribuiti in un arco temporale di sette anni; solo alcune centinaia di bambini sono stati coinvolti, e solo di alcune classi d’età; i criteri diagnostici utilizzati sono differenti; ecc. ) che rendono i risultati non utilizzabili per qualunque inferenza o generalizzazione.

Diagnosi – Non disponendo di misurazioni biologiche per l’ADHD, la diagnosi è basata su criteri clinici di valutazione dei sintomi comportamentali. Essendo questi ultimi una pletora ( le difficoltà diagnostico-differenziali sono numerose, così come differenti possono essere le valutazioni dei singoli operatori ), sono stati stilati appositi protocolli diagnostici che prevedono, oltre alla visita medica e neurologica, all’esame psichico e alla valutazione delle capacità cognitive e di apprendimento del bambino, anche un'intervista strutturata ai genitori e agli insegnanti, ed eventualmente anche ad altri adulti con cui il bambino ha rapporti relazionali prolungati.
In tale contesto, risulta quindi essenziale l'esperienza dell'operatore che si prende cura di un bambino con sospetto ADHD, proprio a partire dall'inquadramento diagnostico, che necessita di più di un incontro per essere correttamente effettuato.

Terapia - Due sono le modalità terapeutiche per il disturbo da deficit di attenzione e iperattività: farmacologica, con psicostimolanti; comportamentale, con vari interventi psicosociali.
Anche per quanto concerne gli approcci terapeutici vi sono differenze tra Europa e Stati Uniti. In Europa dove la prescrizione è ristretta anche per normative regolatorie, le lineeguida prevedono inizialmente interventi psicosociali ( modifiche comportamentali, terapia cognitiva, terapia di famiglia, ecc. ). Negli Stati Uniti d’America invece prevale sin dall'inizio l'indicazione per il trattamento farmacologico.
Per entrambi gli approcci risulta tuttavia ampia la variabilità per quanto concerne la durata della terapia, l'osservazione, il tasso di efficacia e i criteri utilizzati per la sua stima, etc.
Il Metilfenidato ( Ritalin ), uno psicostimolante che inibisce il riassorbimento della dopamina, e l'Atomoxetina ( Strattera ), un inibitore selettivo del riassorbimento della noradrenalina, sono i farmaci disponibili in Italia per il trattamento dell'ADHD.

Metilfenidato - Il Metilfenidato rappresenta oggi il farmaco di scelta per l’ADHD.

Nei bambini, il picco delle concentrazioni ematiche è raggiunto dopo circa 2 ore dalla somministrazione orale, con una durata di azione di 1-4 ore e una emivita di 2-3 ore. La relazione dose/risposta del farmaco è molto variabile, ed è associata alla fase di incremento dei livelli ematici del farmaco, così che il dosaggio deve essere individualizzato.
Nei paesi in cui il farmaco è in commercio, è disponibile in compresse da 5-10-20 mg; negli USA anche in capsule a rilascio lento da 20 mg.
In considerazione del profilo cinetico e dinamico è necessario somministrare più dosi giornaliere. In genere si inizia con un dosaggio di 5 mg per due volte al giorno, che può essere poi incrementato fino a 60 mg/die in 2-3 somministrazioni.
Alla sospensione, alcuni bambini possono mostrare un effetto rebound con esacerbazione dei disturbi comportamentali. Tale effetto può essere prevenuto con uno schema terapeutico che preveda un dosaggio maggiore al mattino seguito da dosi inferiori durante la giornata, o usando formulazioni a rilascio controllato.
I risultati di studi clinici controllati hanno evidenziato che la somministrazione del metilfenidato è efficace in circa il 70% dei bambini con ADHD. La comparsa dell’effetto del farmaco è rapida; a volte è possibile notare miglioramenti già dal primo giorno di somministrazione. Una settimana di trattamento è in genere sufficiente per ottenere benefici valutabili anche in ambito scolastico: aumento dell’attenzione, della capacità di portare a termine i compiti assegnati e dell’organizzazione della scrittura, oltre ad una riduzione dell’impulsività, della distrazione e delle interazioni interpersonali conflittuali. Negli studi finora condotti è stato notato che la stessa dose di Metilfenidato può tuttavia produrre nei diversi bambini con ADHD cambiamenti in positivo, in negativo o nulli, in base al metodo di valutazione usato. Questo paradosso evidenzia l’eterogeneità delle misure finora utilizzate nelle sperimentazioni cliniche, che vanno da una soggettiva percezione di miglioramento da parte dei genitori, a valutazioni cliniche ambulatoriali, fino all’analisi del rendimento scolastico del bambino.
Bisogna inoltre considerare che circa il 20-30% dei bambini con ADHD non risponde al Metilfenidato. Questi bambini risponderebbero invece al trattamento con Anfetamina. I fattori che sembrano limitare l’efficacia del farmaco sono: la predominanza di ansia e depressione nel quadro sintomatologico ( sintomi che nei bambini con ADHD il Metilfenidato migliora ), la concomitanza di lesioni organiche e neuroevolutive, e la presenza di condizioni socioeconomiche ed ambientali sfavorevoli. Tutti questi elementi riconducono anche alla difficoltà ed eterogeneità della definizione diagnostica di questa sindrome.
Mentre l’efficacia nel breve periodo è ben documentata, pochi sono stati finora gli studi che hanno analizzato gli effetti a lungo termine del Metilfenidato. I risultati ottenuti sono piuttosto scoraggianti in quanto non hanno evidenziato nei pazienti trattati un miglior inserimento sociale o il raggiungimento di più alti livelli di scolarità rispetto ai controlli. Ne consegue che le evidenze a tutt’oggi disponibili supportano l’uso del farmaco solo per un periodo di breve durata e nell’ambito di una terapia non solo farmacologica.
Un’attenta valutazione degli effetti indesiderati richiede la separazione di questi ultimi dai sintomi propri della sindrome, che in molti casi sono sovrapponibili. I più comuni effetti avversi del Metilfenidato sono: diminuzione dell’appetito, perdita di peso e dolore addominale.
Meno comuni sono: cefalea, irritabilità, insonnia, ansia e propensione al pianto.
Rare, seppur documentate, sono la neutropenia e l’eosinofilia. A causa di questi effetti collaterali è stato suggerito che nelle visite di follow-up ai bambini con ADHD venga monitorato il peso corporeo. I bambini più piccoli ( di età inferiore ai 6 anni ) ed i pazienti con ritardo mentale sembrano essere più a rischio d’insorgenza di eventi avversi.
Il Metilfenidato può interferire con l’effetto dei farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale ( sedativi, anticonvulsivanti ed antidepressivi ). Richiede inoltre cautela l’uso concomitante di decongestionanti nasali che contengono stimolanti ( quali la Pseudoefedrina ), poiché l’effetto additivo può dar luogo a tachicardia e palpitazioni.

Prognosi - Per quanto concerne l’evoluzione clinica della sindrome, sebbene questa tenda a ridursi al crescere dell’età, evidenze circa la persistenza e le caratteristiche delle sue manifestazioni sono quanto mai deficitarie in considerazione dell’esiguità degli studi di follow-up sinora condotti. Così, le segnalazioni americane e inglesi che indicano nell’ADHD un fattore di rischio per una patologia psichiatrica o per un comportamento sociale nell’età adulta necessitano di ulteriori validazioni, anche in contesti sociali ed assistenziali differenti. ( Xagena2001 )

Fonte: BIF, Bollettino d’Informazione sui Farmaci, 2001



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